918 Gau all’Arena Cervantes

918 Gau all’Arena Cervantes a Roma

Come sa bene chi segue il nostro sito, l’estate romana non è certo avara di occasioni per chi ama il cinema. Tra festival, rassegne e arene, specialmente la capitale ha molto da offrire nel periodo in cui il caldo la fa (pure troppo) da padrone. Capita così che l’Arena Cervantes coniughi la rassegna cinematografica con la visione all’aperto, segnatamente nel cortile della splendida sede dell’Instituto Cervantes a via di Villa Albani. A questo va aggiunta una caratteristica molto cara a chi ha fame di cinema ma non vuole esaurire presto il budget a disposizione per questa attività: l’ingresso gratuito.

La rassegna Arena Cervantes si è dunque svolta nell’ameno luogo già descritto dal 23 al 26 giugno 2022. Ogni serata è stata dedicata a un film girato in una delle lingue ufficiali della Spagna: spagnolo, catalano, gallego e basco. Si è iniziato giovedì 23 giugno con A este lado del mundo (2020, 96’) di David Trueba, presente fisicamente per presentare il suo ultimo lungometraggio insieme a Enrico Magrelli. Le serate successive sono state riservate alla visione di Els dies que vindran (2019, 94’) del catalano Carlos Marqués-Marcet e di O que arde (2019, 93’) di Oliver Laxe, ambientato nelle verdi colline della Galizia.

Domenica 26 era la serata conclusiva, e per coronare un mini ciclo sul cinema basco iniziato qualche giorno fa con la recensione di Handia, siamo andati all’Arena Cervantes per la proiezione di 918 Gau (2021, 65’), documentario scritto e diretto da Arantxa Sanesteban, storica, regista e ricercatrice indipendente. Come per le serate precedenti, il film manteneva la lingua originale, in questo caso l’euskera, la lingua basca appunto, con i sottotitoli in italiano. Giusto il tempo di raggiungere le sedie approntate dall’organizzazione nel piccolo giardino dello stupendo edificio liberty, e alle 21.30 puntuali si sono spente le luci.

918 Gau all’Arena Cervantes

La recensione di 918 Gau

Il titolo tradotto vuol dire ‘918 notti’ e si riferisce ai due anni e mezzo che la regista ha trascorso in varie carceri spagnole a partire dal 4 ottobre 2007, giorno del suo arresto. La storia di Arantxa Sanesteban è analoga a quella di centinaia, se non migliaia, di altrǝ giovani attivistǝ baschǝ finitǝ nelle maglie strettissime della legge spagnola, specialmente negli anni in cui l’ETA era ancora attiva. Allo stesso tempo la sua è una storia personale, inevitabilmente unica, fatta di traumi, ma anche di riflessioni e percorsi che possono svilupparsi solo nella solitudine della propria coscienza. Persino una vita dedicata a una causa collettiva non può prescindere dalla dimensione intima che un’esperienza come il carcere mette prepotentemente in primo piano.

918 Gau raccoglie infatti in maniera frammentata i ricordi e i dubbi della regista, che ripercorrono a volte episodi della vita in prigione, altre volte le conseguenze che questa esperienza ha generato sulla sua vita una volta fuori. Il film sembra viaggiare su un doppio binario: da una parte c’è un bisogno di condivisione, di socialità, di aiuto reciproco, caratteristico della vita politica, soprattutto in un contesto giovanile molto politicizzato come quello dei Paesi baschi; dall’altra parte c’è però il desiderio di fuggire, di trovare uno spazio per riflettere e capire i cambiamenti dentro di sé, senza dover essere costantemente esposta sul piano pubblico.

Il tema di fondo di 918 Gau non è così dissimile dal cuore di Sotto un altro cielo, romanzo del 1996 di Bernardo Atxaga, senza dubbio lo scrittore basco più conosciuto. Atxaga nel suo libro parla di una ragazza appena uscita dal carcere dopo quattro anni di reclusione per terrorismo; in questo caso il teatro del suo percorso di conoscenza è il viaggio in autobus di ritorno alla città natale. Come si vede, il topos del carcere è ricorrente nella produzione culturale basca, proprio perché vissuto in maniera diretta o indiretta da varie generazioni di militanti e simpatizzanti, condizione nella quale peraltro si riconosce una parte significativa della società basca.

Le immagini che accompagnano la voce di Sanesteban che registra i pezzi del suo diario servono più a evocare che a descrivere. A volte si tratta semplicemente di fotografie, zoomate sempre di più, fino a che riusciamo a contare i pixel. La sequenza di chiusura mostra invece più angolazioni dei dettagli di una zebra in uno zoo. L’animale a un certo punto del film era stato utilizzato per comunicare una delle riflessioni più pregnanti del documentario. Domandandosi se le zebre fossero asini neri con strisce bianche o asini bianchi con strisce nere, la protagonista ragiona sulla prospettiva attraverso cui va letta la propria esistenza e sul senso ultimo della vita di un’attivista, spesa a inseguire un traguardo sfuggente tanto quanto la felicità.

(918 Gau, di Arantza Santesteban, documentario, Spagna 2021, 66′)