ALIEN: ROMULUS | Recensione del film di Fede Álvarez

Con Prometheus (2012) e Alien: Covenant (2017), Ridley Scott aveva intrapreso un ambizioso percorso per svelare i misteri delle origini degli xenomorfi, allontanandosi parzialmente dalla saga originale di Alien. Questi prequel, pur mantenendo intatto il DNA della serie – un perfetto equilibrio tra horror e fantascienza –, introducevano un’ambiziosa riflessione filosofica. Partendo dalle teorie evoluzioniste, Scott indagava le origini dell’umanità e il suo posto nell’universo, sollevando interrogativi sulla natura della vita e dell’intelligenza extraterrestre.

Alien: Romulus, il settimo capitolo di questa saga leggendaria, sorprende riavvolgendo il nastro e riconnettendosi alle atmosfere claustrofobiche e alla suspense dei primi film. A differenza dei prequel, che si proiettavano verso un passato remoto, Romulus sembra voler riportare la serie alle sue radici, omaggiando l’iconica Ellen Ripley, interpretata da una indimenticabile Sigourney Weaver, e l’immaginario visivo che ha reso Alien un cult.

Se i prequel di Scott erano un viaggio esplorativo ai confini dell’universo, Romulus sembra volersi concentrare sull’orrore intimo e personale che si scatena quando l’alieno scappa al controllo degli ingegneri della Weyland Corporation. Un ritorno alle origini brutale che ha riacceso il nostro entusiasmo.

La scelta di Fede Álvarez di collocare temporalmente Alien: Romulus tra gli eventi del capolavoro di Ridley Scott e il classico di James Cameron, Aliens, risulta vincente. Il film non si limita a essere un semplice omaggio, ma si propone come un nuovo capitolo fondamentale della saga.

Un’atmosfera claustrofobica, piena di tensione, avvolge lo spettatore fin dalle prime scene, trasportandolo in una stazione spaziale abbandonata dove un gruppo di giovani coloni si trova a tu per tu con gli Xenomorfi. Álvarez, con una regia precisa che non grida al miracolo, ricrea alla perfezione l’atmosfera opprimente tipica della saga, riuscendo a farci rivivere la paura di trovarsi soli e indifesi di fronte a una creatura aliena invincibile. I terrificanti incontri ravvicinati con il Xenomorfo sono impressionanti e regalano allo spettatore un’esperienza di puro terrore pienamente appagante.

Di contro, la sceneggiatura non sempre risulta all’altezza dell’estetica dell’opera. Álvarez, pur rispettando il materiale originale, introduce elementi nuovi, sulla carta interessanti, che vorrebbero arricchire l’universo di Alien, ma che in molti frangenti creano confusione. La storia, nonostante non sia proprio originale, è ben costruita, procede spedita senza distrazioni inutili e riesce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore fino alla fine, lasciandoci con un senso di inquietudine e di attesa per i prossimi sviluppi.

Un aspetto particolarmente azzeccato è la performance della protagonista Cailee Spaeny, che interpreta Rain, una figura femminile forte e determinata, che possiamo tranquillamente accostare alla Ripley di Sigourney Weaver. Spaeny riesce a portare in scena una figura capace di affrontare gli spaventosi xenomorfi con coraggio e determinazione, incarna alla perfezione lo spirito di sopravvivenza che ha sempre caratterizzato i protagonisti della saga e mostra un lato vulnerabile inedito lasciandosi andare in alcuni momenti alla disperazione.

In conclusione, Álvarez ha realizzato un film horror più che onesto, che non solo rende omaggio a un classico della fantascienza, ma lo aggiorna e lo reinventa per le nuove generazioni. Un’opera che conferma il talento del regista nel mettere mano a franchise di successo e che ci invoglia ad esplorare ancora di più l’universo di Alien.

(Alien: Romulus di Fede Alvarez. 2024, USA, fantascienza, 119 min)