Civil War di Alex Garland non è solo il suo miglior film ad oggi, ma si configura come uno dei titoli più interessanti e incisivi di questo 2024. Lo sceneggiatore britannico, già autore di pellicole di culto come 28 giorni dopo e regista di Annientamento e Ex Machina, porta sul grande schermo un dramma di guerra intenso e viscerale, che si erge a monito per gli Stati Uniti e per il resto del mondo.
Ambientato in un futuro prossimo, il film dipinge un quadro desolante: gli Stati Uniti sono dilaniati da una guerra civile tra il governo del presidente in carica e le nazioni secessioniste del Texas e della California.
Pur non approfondendo le cause scatenanti del conflitto, Garland compie una scelta narrativa di grande efficacia. La vaghezza permette allo spettatore di immedesimarsi nella storia, di restare imparziale e di farsi una propria idea sulle possibili cause della guerra. Allo stesso tempo, l’assenza di dettagli rende la storia universale e comprensibile a tutti, indipendentemente dalla conoscenza della politica americana.
Civil War non è un semplice film di guerra. È, soprattutto, la storia di un gruppo di giornalisti e fotoreporter (interpretati da Kirsten Dunst, Cailee Spaeny, Wagner Moura e Stephen McKinley Henderson) che si dirigono a Washington D.C. per intervistare il Presidente (Nick Offerman) prima che i secessionisti prendano la Casa Bianca.
La pellicola si configura come una celebrazione del giornalismo libero e indipendente, sottolineando l’importanza di raccontare la verità a qualsiasi costo. Garland si schiera apertamente contro ogni forma di propaganda, mostrandoci il coraggio e la dedizione di questi professionisti che, armati solo di macchina fotografiche, documentano lo stato del paese, le diverse fazioni in gioco e l’indifferenza di una parte della popolazione.
Civil War non si limita a mostrare la violenza e la distruzione della guerra, ma esplora soprattutto il potere del giornalismo in prima linea. Garland ci offre una rappresentazione toccante e realistica del prezzo che i reporter di guerra pagano per la loro passione, spesso sacrificando la propria vita per mostrare la verità.
Per smuovere le coscienze, il regista adotta un approccio quasi documentaristico, crudo e realistico. Le immagini cruente di corpi dilaniati, dati alle fiamme o fatti saltare in aria si susseguono, accompagnate da un sonoro che gioca un ruolo fondamentale. Lunghi silenzi carichi di tensione sono intervallati dagli scatti delle macchine fotografiche, strumento indispensabile per documentare l’orrore della guerra. Quando il silenzio lascia il posto al frastuono delle armi, la reazione è devastante.
I quattro giornalisti protagonisti sono molto diversi ma hanno un obiettivo comune: portare a termine la loro missione, consapevoli dei rischi che corrono. Lee, interpretata da una Kirsten Dunst in stato di grazia, è una corrispondente di guerra che ha visto ogni tipo di atrocità. Il suo personaggio è freddo e disilluso, ma conserva una profonda umanità. Al suo fianco c’è Joel (Wagner Moura), un giornalista anticonformista e sempre pronto all’azione. Il loro rapporto di amicizia offre una certa leggerezza e spezza la tensione con i loro battibecchi.
Sammy (Stephen McKinley Henderson), il giornalista anziano del gruppo, dispensa saggezza inascoltata e diventa una figura paterna per Jessie (Cailee Spaeny), la giovane fotografa che sogna di diventare come il suo idolo Lee. Spaeny infonde al suo personaggio quell’ingenuità e quell’entusiasmo tipici della sua età, che la spingono a mettersi in gioco senza comprendere appieno il pericolo.
In conclusione, Civil War è un film decisamente politico, un chiaro avvertimento sulle conseguenze nefaste delle divisioni interne di un Paese. Alex Garland si conferma un maestro nel raccontare storie al limite, ponendo l’accento sull’umanità dei personaggi. E proprio l’umanità sembra aver perso la speranza.