Che spreco un film come Hammamet. Spreco perché prende uno dei migliori attori italiani in quello che probabilmente il momento più alto della sua carriera e non gli serve un copione all’altezza del suo talento e del suo ruolo.
Il nuovo film di Gianni Amelio racconta le ultime settimane di vita di Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista Italiano e presidente del consiglio tra il 1983 e il 1987, morto nel 2000 in Tunisia, dove si era rifugiato per sottrarsi ai procedimenti giudiziari in Italia collegati alla maxi inchiesta di Mani Pulite.
Noi qui non parliamo di politica, quindi non ci occuperemo del modo in cui Amelio – che si è occupato anche della produzione e della sceneggiatura insieme ad Alberto Taraglio – ha ricostruito la vicenda politico-giudiziaria di Craxi. Noi parliamo di cinema, e di come Hammamet sia un film a dir tanto modesto e un grande spreco delle sue risorse.
Pierfrancesco Favino è sempre stato un ottimo attore, ma negli ultimi anni è in una forma strepitosa. Non sbaglia un’interpretazione, anche in film appena discreti come Chi m’ha visto? e I moschettieri del re. Dopo l’ottimo lavoro in Il traditore di Marco Bellocchio qui alza ulteriormente l’asticella calandosi nei panni e nella pelle di Craxi con un realismo impressionante. Una vera trasformazione del corpo e della voce che ha pochi precedenti nella storia del cinema.
Peccato, però, che per il resto Hammamet non offre praticamente nulla, se non confusione e noia. La vicenda personale dell’ex presidente si sviluppa in maniera indecisa, con una serie di suggestioni che vengono accennate senza poi essere portate a sviluppo. I dialoghi si concedono delle battute sulla politica che sono davvero ovvie – vengono dette, con un’ironia che funziona poco, frasi ed espressioni come «percentuale bulgara», «magna magna» o «rimpasto di governo» mentre si sciorina un piatto di pasta – e non c’è nessun vero elemento di analisi o approfondimento.
Tutto quello che dovrebbe fare da contorno a questo Favino titanico non funziona. Gli altri attori che dividono la scena con lui vengono schiacciati dalla sua grandezza. La sceneggiatura arranca tra finzione e realtà, tra derive oniriche e riferimenti vaghi. Il nome Craxi non viene mai pronunciato, le persone intorno a lui hanno nomi diversi dalla realtà, eppure questo presidente, come viene chiamato per tutto il tempo, è identico a quel presidente. E allora perché non chiamare le cose – e le persone – con il loro nome? Si salva solo il trucco eccellente, curato da Andrea Leanza e Federica Castelli.
Un Favino di questo livello non va sprecato per un film senza né capo né coda. Amelio non è riuscito a portare modernità nel cinema d’autore italiano, come Bellocchio con Il traditore e prima ancora con Buongiorno notte, e si è perso in tutti gli stereotipi negativi dei nostri film impegnati.