Il campione è un film coraggioso sin dal tema di cui sceglie di parlare. Non c’è una grande tradizione di film sportivi in Italia. Di film sul calcio ancora meno. A parte le parentesi comiche degli anni Ottanta, da L’allenatore nel pallone ai vari derivati con Gigi e Andrea e Alvaro Vitali, ci sono state un po’ di commedie anche valide in anni più recenti come Amore, bugie e calcetto e il film corale 4-4-2 Il gioco più bello del mondo, e poco altro.
Ci sono gli interventi d’autore, o con grandi personaggi coinvolti, vedi Il presidente del Borgorosso Football Club con Alberto Sordi, o Ultimo minuto di Pupi Avati, con Ugo Tognazzi. La grande eccezione è rappresentata da L’uomo in più, racconto sugli ultimi, più che sul calcio, che segnò il debutto di Paolo Sorrentino con uno sguardo già chiaro.
Per il suo esordio, Leonardo D’Agostini guarda da una parte e dall’altra. Il campione è una commedia, ma vuole essere anche di più.
Al centro c’è Christian Ferro, giovanissimo talento dell’As Roma tutto genio calcistico e sregolatezza fuori dal campo. Dopo un furto al centro commerciale con gli amici di sempre, il presidente della squadra decide di obbligarlo a studiare per metterlo in riga. Per continuare a giocare dovrà passare un esame a settimana e a fine anno prendere il diploma. Come precettore gli viene affiancato Valerio, un ex professore che non conosce affatto il mondo del calcio e vede in Christian solo un ragazzo viziato. Il rapporto tra i due è difficile all’inizio, ma quando trovano il modo giusto di comunicare diventano amici.
Dietro il primo film di Leonardo D’Agostini, già regista e sceneggiatore per fiction Mediaset, ci sono due dei personaggi più interessanti del nuovo cinema italiano: Matteo Rovere e Sydney Sibilia. I due registi a cui si devono quasi tutti i film più innovativi degli ultimi anni – la trilogia di Smetto quando voglio, Veloce come il vento e Il primo re – hanno prodotto Il campione con la loro casa di produzione Groenlandia.
Il supporto di Rovere e Sibilia ha garantito a D’Agostini la libertà di andare oltre i classici confini della commedia nazionale. Il campione ha il coraggio di cercare un linguaggio nuovo, capace di contaminare i generi. Di base siamo di fronte a un doppio racconto di formazione: da una parte il giovane calciatore che trova dei nuovi valori in cui riconoscersi, dall’altra il professore che recupera il se stesso che aveva abbandonato.
Christian Ferro è circondato da opportunisti di vario livello, dai suoi amici a suo padre, dalla fidanzata all’agente, e dall’amore quasi violento del suo pubblico. Valerio è l’unico che lo tratta in modo diverso, come una persona.
Il contenuto morale del film mira a rivalutare l’educazione e i valori di un tempo nella società di oggi fatta di apparenza e consumo. È uno spunto interessante e portato bene avanti da D’Agostini, che ha scritto insieme ad Antonella Lattanzi e Giulia Steigerwalt.
Il difetto c’è, perché il dramma è troppo presente nella vita dei due protagonisti, ingombrante ed eccessivo rispetto all’equilibrio del film. È un problema comune al cinema italiano, che qui finisce per appesantire e porta a cercare la soluzione in un finale troppo veloce e troppo consolatorio.
Sono di più i pregi, però. La descrizione del mondo del calcio è realistica, sia quando si parla del giro di affari sia nella rappresentazione del gioco.
Andrea Carpenzano si conferma, dopo Tutto quello che vuoi e La terra dell’abbastanza, il nuovo attore da tenere d’occhio. Accanto a lui, Stefano Accorsi si trova a suo agio nel ruolo del professore lavorando su corde meno conosciute del suo repertorio d’attore.