Figlio di un’epoca ossessionata da sequel e spin-off, Il Gladiatore II di Ridley Scott ambisce a superare l’ombra del suo celebrato predecessore, vincitore di cinque Oscar. L’idea che sottende questa ambiziosa operazione commerciale, tipica del modus operandi del “vecchio” Scott (basti pensare ad Alien e Blade Runner), è quella di una Roma trasformata in una grottesca caricatura di sé stessa, governata da tiranni che perpetuano la formula del “panem et circenses” con una dose eccessiva di follia. Al di là di ogni possibile parallelismo storico, non si può non avvertire una sensazione di déjà vu, di una storia di vendetta che, nonostante le spettacolari battaglie e alcune interpretazioni sorprendenti, non riesce a celare un senso di declino, di un impero (e di un pubblico) ormai stanco.
L’annuncio di un sequel de Il Gladiatore ha suscitato fin da subito perplessità e scetticismo. L’epilogo del primo film, con la morte di Massimo, sembrava porre un punto fermo definitivo alla saga. Negli anni successivi, i numerosi tentativi falliti di sviluppare un seguito, tra cui la bizzarra sceneggiatura di Nick Cave che immaginava un viaggio negli Inferi, evidenziano la difficoltà di creare una storia che sia all’altezza dell’originale e che rispetti la memoria del personaggio. In assenza di un’idea convincente, si rischia di cadere nella trappola del mero sfruttamento commerciale, sacrificando la coerenza narrativa e la profondità emotiva per un facile e immediato guadagno.
Purtroppo, Gladiator II (o GladIIator, come riportato nei bellissimi titoli di testa che mostrano gli eventi più importanti del primo film) non è all’altezza delle aspettative di chi scrive. La sceneggiatura ripercorre pedissequamente i sentieri già battuti dal primo film. Al centro della trama non troviamo più il generale Massimo, ma suo figlio Lucio (Paul Mescal), nipote di Marco Aurelio. Mandato via da Roma da sua madre, Lucilla (Connie Nielsen) dopo la morte di Commodo, è cresciuto rifiutando tutto ciò che Roma rappresenta. Il generale Acacio (Pedro Pascal), per la vana gloria degli imperatori Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), conquisterà la città fortezza dove vive Lucio ormai grande e in battaglia ucciderà la sua amatissima moglie.
Ridotto in schiavitù e costretto a combattere nell’arena, Lucio diventa un gladiatore. La sua storia, però, sembra un pallido riflesso di quella di Massimo, il leggendario eroe del primo film. Per gran parte della pellicola, Lucio sembra non voler abbracciare il suo destino, e fatica a emergere dall’ombra ingombrante del suo predecessore. Solo quando incrocerà la strada di Macrino (un divertente e divertito Denzel Washington piacevolmente sopra le righe), un personaggio enigmatico e manipolatore che promette di aiutarlo a vendicarsi di Acacio, la sua vita comincerà ad avere un senso.
Il Gladiatore II, come la pellicola originale, esordisce con una grandiosa battaglia (in questo caso navale) che mette in luce il talento visivo di Scott. Tuttavia, sebbene lo spettacolo sia assicurato, manca la cruda intensità e la profondità emotiva che caratterizzavano l’iconica apertura del primo film. La tensione è meno palpabile, l’atmosfera meno primordiale, i dialoghi meno memorabili e la colonna sonora, pur epica, non riesce a eguagliare quella leggendaria di Hans Zimmer.
L’azione si sussegue a ritmo serrato, tra scontri epici che culminano nei celebri giochi gladiatori in onore degli imperatori. Il Colosseo, scenario maestoso di battaglie navali in miniatura e duelli mozzafiato contro avversari a dorso di rinoceronti, offre uno spettacolo visivo grandioso. Le riprese aeree della città eterna, seppur suggestive, tradiscono una certa ripetitività stilistica. Ridley Scott, maestro indiscusso del genere epico, sembra affidarsi a formule consolidate, sacrificando in parte l’originalità. Nonostante ciò, le sequenze d’azione sono coreografate con maestria e regalano al pubblico un intrattenimento di alto livello.
I veri punti deboli del film non risiedono tanto nella tecnica, se non per qualche sbavatura nella CGI nelle scene con gli animali, quanto in una trama scialba e ripetitiva. I due imperatori, figure stereotipate e assetate di sangue, e i complotti politici dei senatori, prevedibili e scontati, offrono poco di nuovo. Il film si perde in un vortice di intrighi e retorica, incentrata sul rovesciamento di una tirannia e sul ripristino di un idealizzato ‘sogno di Roma’. Un richiamo ai valori democratici che però stona con il tono generale, più incline allo spettacolo che alla riflessione.
La ricostruzione storica, pur discutibile, non è una novità per la saga; il problema è che questa volta la narrazione sembra ancora più debole, con una moltitudine di trame intrecciate che cercano inutilmente di creare parallelismi con il presente. A differenza del primo film, che ci coinvolgeva con la semplice e potente storia di vendetta di Massimo, Il Gladiatore II non riesce a suscitare le stesse emozioni. Alla fine, ci ritroviamo a condividere il voyeurismo del pubblico dell’arena, assetato di sangue e violenza. E questo, inizialmente, gratifica la nostra parte più impulsiva, ma col tempo si rivela insoddisfacente.