Film come Jojo Rabbit ci fanno esprimere a voce alta un pensiero semplice come «Meno male». Meno male che c’è ancora qualcuno che ha il coraggio e la voglia di parlare di argomenti serissimi senza prendersi sul serio. Meno male che c’è ancora qualcuno che sa parlare di argomenti profondi con una leggerezza solo apparente. Meno male che c’è ancora qualcuno che sa parlare di storia e trasformarla in favola.
Taika Waititi ha scritto e diretto Jojo Rabbit partendo dal romanzo Semi d’autunno di Christine Leunens. Il libro è poco più di un pretesto per scatenare la fantasia del regista. Nella Germania del 1945, il giovanissimo Johannes Betzler ha un amico immaginario, Adolf Hitler, il suo idolo assoluto, che lo consiglia e lo guida nel suo sogno di diventare un soldato al servizio del Reich. Quando scopre che sua madre nasconde una ragazzina ebrea in casa loro le sue certezze vanno in frantumi, mentre le truppe alleate avanzano sempre di più.
Bastano i titoli di testa del film per farci capire cosa stiamo vedendo. Il piccolo Jojo corre verso il raduno della gioventù hitleriana salutando a colpi di «Heil Hitler» chiunque incontra mentre i Beatles cantano “I Want to Hold Your Hands” in tedesco. Prima di uscire di casa si era caricato con una bella chiacchierata con Adolf.
Jojo Rabbit è un film irriverente e coraggioso, poetico e dissacrante. Parla della paura di crescere, della solitudine enorme dell’infanzia. Spiega in modo semplice e compiuto il bisogno di chiunque, e dei bambini ancora di più, di potersi riconoscere in qualcosa di più grande, giusta o sbagliata che sia. Il tutto con una messa in scena degna di Wes Anderson e una presa in giro costante che ha in Vogliamo vivere! di Lubitsch e nel folle Springtime for Hitler di Per favore, non toccate le vecchiette i suoi riferimenti più evidenti.
Per evitare equivoci, Waititi si è riservato il ruolo di Hitler. Per lui, maori di madre ebraica, è un modo inequivocabile per rimarcare la distanza del suo film da qualsiasi possibilità di banalizzazione del male. Le nomination agli Oscar sono sei, tutte giuste: miglior film (difficile considerando Joker, C’era una volta a Hollywood e 1917), miglior sceneggiatura non originale, gli ottimi costumi, montaggio e scenografia e Scarlett Johansson, straordinaria attrice non protagonista nei panni della madre di Jojo. La scena in cui si traveste dal padre del bambino, scomparso in guerra, ci ricorda insieme a Storia di un matrimonio tutta la sua bravura degli esordi.