Secondo film tratto dai romanzi di Roberto Saviano, La paranza dei bambini è stato presentato in concorso al Festival di Berlino dove si è aggiudicato l’Orso d’argento per la sceneggiatura.
Viene subito in mente Gomorra guardando il film di Claudio Giovannesi. Più il film di Matteo Garrone che la serie di Stefano Sollima. Sarà anche che alla sceneggiatura ha lavorato, oltre al regista e Saviano, Maurizio Braucci, già al fianco di Garrone nel 2008. Le differenze di stile, però, vengono fuori in fretta e il merito e nella visione del cinema di Giovannesi.
Un gruppo di ragazzini intorno ai quindici anni intraprende la carriera criminale per cercare di ottenere una vita migliore. Si chiamano Tyson, Biscottino, Lollipo, O’Russ, Briato’. L’unico che ha diritto a un nome vero è Nicola, il loro capo. È Nicola che va dal boss del quartiere per ottenere un lavoro, stanco di vedere sua madre pagare il pizzo. È lui a preparare il piano per diventare il nuovo boss del Rione Sanità di Napoli.
Claudio Giovannesi è abituato a raccontare il mondo degli adolescenti difficili. A partire dal suo secondo film, Alì ha gli occhi azzurri, per continuare poi con Fiore, ha spostato il suo sguardo su storie di crescita di marginali, più che emarginati. Italiani di seconda generazione, ragazzi in riformatorio, boss adolescenti. Grazie allo straordinario lavoro di casting fatto con Chiara Polizzi, è andato a cercare i volti per La paranza dei bambini tra più di quattromila candidati, girando per i quartieri di Napoli fermando i ragazzi per strada uno a uno. Il giovane protagonista, Francesco Di Napoli, è stato trovato grazie a una foto sul cellulare del cugino.
Un nuovo neorealismo
Più che ai tempi classici del neorealismo sembra di essere tornati a quella seconda fase a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, a quei film di Marco Risi tipo Mery per sempre che raccontavano la vita difficile con i volti veri delle strade.
La paranza dei bambini è, a tutti gli effetti, un romanzo di formazione che viaggia su due binari paralleli. Da un lato, Nicola cresce come un qualsiasi adolescente. Conosce una ragazza, si innamora, passa il tempo con gli amici, ha sogni semplici come una maglietta che costa troppo o un’estate da trascorrere a Gallipoli. Dall’altro, la sua crescita passa attraverso le tappe di una carriera criminale velocissima. Non nasce in un clan, decide di entrarci per migliorare la sua condizione sociale, sfruttando una serie di piccole opportunità appena gli si presentano.
La differenza con Gomorra è qui. Non è la storia di criminali per nascita, per abitudine. È la storia di delinquenti per scelta, di giovanissimi che prendono la strada veloce per arrivare alle loro soddisfazioni transitorie. Giovannesi è riuscito a raccontare i ragazzi senza giudicare, mostrando una storia per quella che è, senza dimensioni esteriori rispetto alla loro vita quotidiana. C’è una specie di indulgenza nei loro confronti. Un’indulgenza che sa di comprensione.
Il crimine diventa la scelta più ovvia, da vivere quasi allo stesso modo con cui si vive qualsiasi altro gioco. I momenti chiave vanno immortalati con una foto; per capire come funzionano le armi basta cercarsi un tutorial su YouTube.
In questi anni di continue proposte di cinema e televisione criminale all’italiana il rischio di essere di fronte a qualcosa di già visto è forte. Senza entrare nell’ambito delle polemiche sull’eventuale sfruttamento dell’estetica criminale per scopi esclusivamente commerciali, La paranza dei bambini rende con sguardo quasi socio-antropologico la difficile realtà di un’adolescenza a cui è negato l’accesso anche alle più elementari aspirazioni di benessere.