LA ZONA D’INTERESSE | Recensione del film di Jonathan Glazer

Il cinema ha raccontato in molti modi diversi la tragedia dell’Olocausto, ma quello che ha fatto Jonathan Glazer nel suo ultimo film, La zona d’interesse (The Zone of Interest), ci ha profondamente scioccato.

La pellicola, tratta dal romanzo omonimo di Martin Amis, racconta la storia di una famiglia tedesca apparentemente normale che vive – in una bucolica casetta con piscina – una quotidianità fatta di gite in barca, il lavoro d’ufficio del padre, i tè della moglie con le amiche, le domeniche passate a pescare al fiume. Peccato che l’uomo in questione sia Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, e la deliziosa villetta con giardino in cui vive con la sua famiglia in una surreale serenità è situata proprio al confine con il campo di concentramento, a due passi dall’orrore.

La forza del film risiede nel suo approccio non convenzionale ad un tema così delicato e sensibile. L’approccio originale di Glazer ci ha dimostrato che non tutto è stato ancora raccontato sullo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Il regista inglese evita di mostrare scene di violenza esplicita, concentrandosi invece sulla vita quotidiana di Höss e dei suoi familiari, che si svolge a pochi passi dall’orrore del campo di concentramento.

Le scene di vita domestica, con i bambini che giocano e la moglie che si occupa della casa, assumono un’aura sinistra quando si contrappongono all’orrore che si svolge a pochi metri di distanza, al di là del muro del campo di concentramento. Solo attraverso le voci dei soldati, le urla dei prigionieri e il suono delle armi, o di notte quando il camino dei forni crematori entra in funzione, il pubblico – ma non i protagonisti – si rende conto di trovarsi alle porte dell’Inferno.

Con il suo stile freddo e distaccato, il film ci porta a interrogarci sulla natura del male e sulla complicità di coloro che, pur non essendo direttamente coinvolti negli atti di atrocità, ne sono comunque corresponsabili. La zona d’interesse ci mostra come la banalità del quotidiano possa coesistere con l’orrore più assoluto, e come la normalità possa essere usata per mascherare la crudeltà.

Le interpretazioni degli attori sono incredibili e sono fondamentali nel provocare allo spettatore disagio e inquietudine. Christian Friedel offre un’interpretazione magistrale del comandante Höss, mostrando la sua freddezza e la sua totale assenza di empatia, ma anche un inaspettato lato umano. Rimane il fatto che il suo unico scopo è obbedire agli ordini e fare al meglio il suo lavoro, ovvero uccidere gli ebrei.
La consacrazione di Sandra Hüller passa per un ruolo odioso e complesso. Come moglie del gerarca tedesco scherza quando si auto definisce la “Regina di Auschwitz” e si illude di poter vivere una vita normale in un simile contesto fatto di odio e morte. Proprio osservandola in casa si capisce quanto sia distaccata e indifferente rispetto a ciò che accade a pochi metri da lei. Neppure la cenere che esce dai forni crematori e mette in pericolo la vita dei suoi figli la disturba, anzi diventa un ottimo concime per le piante del suo giardino.

La zona d’interesse non è un film facile da guardare. La sua rappresentazione cruda e realistica dell’Olocausto può risultare disturbante e provocatoria. Tuttavia, è proprio questa scelta stilistica che rende il film così potente e indimenticabile. Glazer non ci offre una visione consolatoria o edulcorata della Shoah, ma ci costringe ad affrontare l’abisso del male in tutta la sua complessità. È senza dubbio un film necessario che aiuta a non dimenticare gli orrori della storia e fa riflettere sulle responsabilità individuali di fronte alla disumanità e alle atrocità del passato.

Vi consigliamo di guardarlo in lingua originale (tedesco).

(La zona d’interesse di Jonathan Glazer. 2024, drammatico, Regno Unito, Polonia, 105′)