NOI | La recensione del film di Jordan Peele

AVVERTENZA – Questa recensione contiene spoiler minori, potete leggere abbastanza tranquilli.

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Qualche anno fa se dicevi Peele, dicevi anche Key. Anzi, tipicamente dicevi Key & Peele, il duo comico americano, conosciuto anche dai frequentatori italiani di YouTube, che ha sfornato centinaia di sketch, principalmente su Comedy Central. Andate a (ri)vederli, quando potete, perché c’è tanto tessuto sociale degli Stati Uniti, tante piccole fondamenta per i lungometraggi futuri di uno dei due. Come gli artisti veri, Key & Peele usano la risata per fini a più ampio orizzonte.

Jordan Peele adesso si è spostato dietro la cinepresa per ampliare gli orizzonti. Usando uno dei generi più vituperati e triti della cinematografia, l’horror, ci ha messo solo due film a diventare un regista di culto. Scappa – Get Out, la sua opera prima del 2017, e Noi, nelle sale dal 4 aprile, sono due instant classic che hanno riportato sulla bocca di tutti la categoria social thriller. Ecco, più che l’horror, il genere che il regista Jordan Peele sta utilizzando e allo stesso tempo ridefinendo.

Noi si apre nel 1986, nell’iconico luna park sul lungomare di Santa Cruz, in California, dove la protagonista bambina entra quasi inavvertitamente nella casa degli specchi e viene traumatizzata dalla visione di una sua copia gemella. Trent’anni dopo, quella stessa bambina è una madre (Lupita Nyong’o) che va in villeggiatura con marito e figli proprio a Santa Cruz. Una notte un’intera famiglia di loro doppi in tuta rossa, guanti di pelle e forbici d’oro si palesa mano nella mano sul vialetto di casa. Dopo poco i quattro doppelgänger fanno inevitabilmente irruzione, dando il via a un confronto dove i significati metaforici hanno il merito di elevare la godibilità di una pellicola in cui il livello di tensione è costante, stemperato solo dal personaggio del padre (Winston Duke).

La prima parte del film, quella in cui conosciamo la famiglia di sosia sinistri, riprende tutti gli stilemi del sottogenere home invasion; più avanti gli ambienti si aprono, noi capiamo (un po’) di più quello che sta succedendo, ma non si perdono alcuni cliché della cinematografia (su tutti: i protagonisti devono essere così gustosi da uccidere che prima di sferrare il colpo mortale si assapora il momento e poi il momento e poi il momento…; con gli altri personaggi si sbriga la pratica e via).

Il secondo film di Jordan Peele è stato prodotto con un budget molto maggiore rispetto al primo, e si vede: scenograficamente elegante, ricco nella sua ombrosità e con una colonna sonora varia e non banale, indice dell’orecchio fino del regista. Fina è anche la scelta degli attori, o soprattutto, dell’attrice. L’interpretazione di Lupita Nyong’o è il piano inclinato delle fortune, per ora oltre oceano, del film. Il suo doppio ruolo gioca con luci e ombre psicologiche ma anche fisiche, con una pelle e degli occhi che potrebbero essere candidati sin d’ora per la fotografia ai prossimi Oscar. La voce della sua alter ego (degna di un video ASMR) è il rantolo pacato di chi cerca di spiegare Nietzsche dopo aver ricevuto una punizione di Roberto Carlos in pieno stomaco. Terrificante, bravissima.

Che il film abbia più chiavi e non si limiti alla pur suggerita lotta con i propri demoni è esplicitato presto, quando la Nyong’o in tuta rossa risponde serafica alla domanda su chi siano: “Siamo americani” (Us il titolo originale del film, US la sigla degli United States). Prima dell’uscita del film Peele ha provato a mantenere un profilo basso, parlando della sua opera come di un semplice film dell’orrore, ma l’asticella posta da Get Out era lì per essere saltata.

Si impegna per saltarla, Peele, quell’asticella, e non possiamo fare a meno di notarlo; i simboli, i riferimenti e i livelli di lettura sono tanti, forse troppi e forse scolastici, e c’è il rischio che lo spettatore analizzi le scene con l’abaco in mano e si perda il piacere della visione. Noi ha un respiro sociale, parla degli ultimi (di lotta di classe e ipocrisia borghese?), ma è anche, soprattutto, un grandissimo film di genere.

Peele ha dichiarato che i protagonisti dei suoi film continueranno a essere afroamericani. Nessun pregiudizio, ma i film coi bianchi sono roba già vista, ha detto. Ha delle idee, questo regista, ed è solo all’inizio. Noi continueremo a tenerlo d’occhio e pare proprio che non saremo i soli.

(Noi di Jordan Peele, horror/thriller, 2019, 116’)