Nell’Universo Cinematografico Marvel ci sono state tante prime volte: Black Panther è stato il primo film a celebrare la cultura africana; Captain Marvel è stato il primo film con una protagonista donna. Ora, Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli ha il difficile compito di addentrarsi in punta di piedi nella cultura asiatica.
Naturalmente, nel MCU sono già comparsi personaggi di origine asiatica: il monaco Wong (Benedict Wong) in Doctor Strange e il detective Jimmy Woo (Randall Park) in Ant-Man And The Wasp e in WandaVision. Ma sono sempre stati personaggi secondari, che ricoprivano ruoli marginali. Invece Shang-Chi presenta, oltre al protagonista, anche un cast prevalentemente di origine asiatica.
Non avevamo grandi aspettative per questo film (a differenza di Black Widow), ma ci siamo subito dovuti ricredere non appena abbiamo visto la scena introduttiva. Il film è ben fatto e ha molto da raccontare (ricordiamoci che la Marvel ha portato al successo personaggi dei fumetti di cui in Italia pochissimi conoscevano l’esistenza).
Dopo essere fuggito da suo padre, il Mandarino (Tony Leung), che voleva trasformarlo in un assassino, Shang-Chi (Simu Liu) comincia una nuova vita a San Francisco con la sua amica Katy (Awkwafina), con cui condivide una vita libera da qualsiasi responsabilità, vivendo alla giornata. Tuttavia, dopo dieci anni, il passato di Shang-Chi lo raggiunge e lo fa ricongiungere prima con sua sorella Xialing e poi con suo padre che lo vuole al suo fianco nell’organizzazione terroristica dei Dieci Anelli, un impero del male costruito grazie al potere di dieci antichi anelli.
Il co-sceneggiatore e regista Destin Daniel Cretton centra in pieno lo spirito dualista del film: le diverse dinamiche familiari occidentali e orientali spingono il tono della pellicola a volte verso il dramma e a volte verso la comicità. E nonostante l’umanità dei personaggi sia una caratteristica fondamentale del racconto che frena e accelera la narrazione a seconda dei casi, sono i combattimenti con le arti marziali a rubare la scena. Sebbene ci siano molti elementi mistici che rimandano direttamente alla cultura cinese, Shang-Chi guadagna punti quando le scene sono ambientate nel mondo reale: un autobus fuori controllo, le fragili impalcature di bambù di un grattacelo. L’azione è incredibile e le coreografie dei combattimenti sono le migliori di tutto il MCU, e questo grazie a Andy Cheng e al compianto Brad Allan, a cui è dedicato il film. La computer grafica ben si sposa con gli elementi reali, non risulta invasiva ed è utilizzata più che altro come supporto per le scene all’interno del regno fantastico di Ta Lo, senza mai sminuire la bellezza dei diversi stili di combattimento. Ammirando la lotta tra Wenwu e Jiang Li (Fala Chen) sembra di vederli danzare, tanto sono eleganti e precisi i movimenti. Questo livello di coreografie le abbiamo visto in pochi altri film orientali come ad esempio in La foresta dei pugnali volanti.
Il cast non fa rimpiangere i colleghi di Hollywood. Liu è riuscito a dare al protagonista una caratterizzazione particolarmente colorita, aggiungendo un po’ di leggerezza al personaggio dei fumetti noto per essere molto serio. Come previsto, Awkwafina è la spalla comica del protagonista ma ricopre un ruolo molto importante nel corso della storia. La chimica tra Liu e Awkwafina è palpabile; riescono a trasmettere quel calore familiare che Shang-Chi ha assaporato solo quando era ancora un bambino. Forse il personaggio più intrigante e sfaccettato è Xialing, la sorella di Shang-Chi, che ha alle spalle una storia molto travagliata e avvincente; purtroppo è sacrificata per lasciare spazio al fratello.
Il veterano di mille “battaglie” Leung offre un’interpretazione appagante del Mandarino fornendo profondità al personaggio in quello che poteva risultare altrimenti un cattivo monodimensionale. Tuttavia, il vero villain del film è il dolore. Il dolore spinge Wenwu a compiere atti orribili, anche a spese dei suoi stessi figli.
Shang-Chi presenta solo due piccoli problemi che però non vanno a inficiare il giudizio finale più che positivo: il primo è il ritmo della storia altalenante, con troppe informazioni da digerire in poco tempo; il secondo è una certa forzatura nei collegamenti con il MCU. Insomma, tutte cose di poco conto. Nel complesso Shang-Chi è un tipico cinecomic Marvel, di cui già si conoscono i pregi e i difetti, che svolge egregiamente il compito di presentare un nuovo supereroe, evitando i tipici cliché e stereotipi del passato.