wonder woman 1984

WONDER WOMAN 1984 | La recensione del secondo cinecomic di Patty Jenkins

Avevamo delle riserve sulla scelta di Gal Gadot nel ruolo di Wonder Woman, ma con l’uscita del sequel ambientato nel 1984, sempre diretto da Patty Jenkins, ci siamo dovuti ricredere. L’attrice di origine israeliana ha sulle spalle una responsabilità enorme: proseguire e consolidare l’enorme successo del primo capitolo del 2017 che la vede protagonista nei panni della principessa amazzone Diana.

Che piaccia o non piaccia, lei è l’anima del franchise e questo film ne è la prova. Il carisma del suo personaggio ricorda molto quello di uno dei primi supereroi cinematografici DC, il Superman di Christopher Reeve. Come lui, vive una doppia vita da immortale in completa solitudine votata ad aiutare il prossimo.

Per interpretare questo ruolo non è sufficiente avere il fisico giusto (ovviamente è necessario); la sfida più grande è quella di riuscire a trasmettere allo spettatore, senza sforzo e fatica, una superiorità fisica e soprattutto mentale, non mostrando mai alcuna fragilità o emozione (se non qualche occhiolino di intesa con i bambini); una volta compiuta la buona azione torna immediatamente alla vita di tutti i giorni della antropologa malinconica e annoiata. Ma in Wonder Woman 1984 questa routine viene spezzata da una pietra antica che ha il potere di esaudire i desideri di chi la tocca.

Questo potere colpisce incosapevolmente anche Diana che continua a piangere il suo vero amore Steve Trevor (Chris Pine), morto alla fine del primo film; l’unico momento in cui la vediamo sorridere è in compagnia di Barbara Minerva (Kristen Wiig), la sua buffa collega che vorrebbe essere come lei, bella e forte. Barbara potrebbe sembrare un personaggio ben caratterizzato con una propria personalità che si evolve durante la storia, ma è un castello di carta, un mezzo per mettere in bella mostra la protagonista, niente di più.

I primi 30 minuti della pellicola ci hanno davvero impressionato, sia da un punto di vista narrativo che visivo. Le atmosfere, le scenografie, i costumi dei “giochi olimpici” delle Amazzoni e lo stile anni ’80 (siamo fan dei marsupi) spiegano bene chi, dove e quando è Diana nell’Universo cinematografico DC. Le scene d’azione sono coinvolgenti e spettacolari e, nonostante la regia della Jenkins non brilli per originalità, non vediamo l’ora di vederla all’opera sul set di Star WarsRogue Squadron.

Però gran parte del divertimento svanisce man mano che ci addentriamo nella trama, e i desideri vengono esauditi. Diana vuole riabbracciare Steve, Barbara vuole essere come Diana, e il truffatore Maxwell Lord (Pedro Pascal) desidera essere un uomo di successo agli occhi di suo figlio (le cose gli sfuggiranno un po’ di mano).

Questa parte del film è una brutta favola per bambini senza la simpatia e la leggerezza del Genio della Lampada. Il messaggio che il film vuole veicolare alle nuove generazioni è lodevole ma manca totalmente di incisività e costrutto. Nel mondo non c’è posto per l’inganno e le facili scorciatoie sono un’illusione, la verità è l’unica cosa che conta: WW84 ruota intorno a questa idea che è alla base dell’educazione di Diana; una visione che può andare bene per una civiltà moralmente avanzata come quella delle Amazzoni ma che nel mondo “moderno” è utopica e semplicistica.

Gli sceneggiatori dovevano essere in grado di capire l’importanza del messaggio e approfondirlo prendendosi tutto il tempo necessario (e in questo film di tempo ce n’è anche troppo). Dopo anni di cinecomic abbiamo imparato che i supereroi non sono perfetti e anche loro hanno bisogno di un sostegno per andare avanti (Logan e Deadpool per non citare sempre quelli del MCU) e fare quello che fanno: salvare vite umane. Purtroppo Wonder Woman può contare solo sulle proprie forze ed è un grosso limite.

Non abbiamo volutamente parlato dell’aspetto tecnico del film perché siamo rimasti molto delusi anche qui, in particolare della computer grafica che in molte scene d’azione è imbarazzante (la pellicola è costata più di 200 milioni di dollari). Poi ci sarebbero un paio di strafalcioni narrativi molto evidenti ma non vogliamo svelarvi nulla per non togliervi il divertimento (altro che easter egg!)

Diana è la sola cosa che salviamo del film, ed è sicuramente un modello da seguire e a cui aspirare, ma è evidente che in questo modo i suoi poteri immortali non possano essere trasmessi a noi comuni mortali, ed è un peccato. Perciò non ci resta che aspettare il terzo capitolo nella speranza che i desideri da esaudire siano finiti.

C’è una scena dopo i titoli di coda!

(Wonder Woman 1984 di Patty Jenkins, fantasy, 2020 USA, 151 min)